Tizio aprì gli occhi e vide un pavimento disegnato a matita.
Ogni linea sembrava incompleta, come se l’artista avesse preso una pausa a metà.
Alzando lo sguardo, notò un soffitto color pastello, con scritte giganti che dicevano: “Esempio di contratto di compravendita”.
«Sei sveglio?» bisbigliò una voce rauca. Era Caio, steso poco più in là, fra due paragrafi semi sfumati.
«Svegliarmi in un paragrafo legale non è esattamente un sogno» rispose Tizio, massaggiandosi le tempie. «E Sempronio?»
«Sono qui» fece eco una terza voce, metallica, come se uscisse da una vecchia radio a valvole. Sempronio sbucò da dietro una pila di commi disegnati in prospettiva.
«Non ho un bell’aspetto, vero? Mi sento come una formula matematica.»
L’ambiente era fatto di pareti fluttuanti, articoli di legge che scorrevano come nuvole di carta, scritte giganti: “Tizio, venditore”, “Caio, acquirente”, “Sempronio, terzo interessato.”
Il tutto sembrava creato da un bambino che disegnava su un quaderno di appunti, ma con i termini di un manuale universitario.
«Ci siamo cascati di nuovo,» sospirò Caio, appoggiandosi a un “comma 3” disegnato in stile scarabocchio. «Un classico esempio legale. E io che speravo di dormire almeno un’ora in pace…»
«Invece no,» commentò Tizio. «Stavolta siamo dentro il caso di un contratto di compravendita, immagino.»
Sempronio guardò una didascalia che fluttuava a mezz’aria: “Nel caso in cui Tizio venda il bene X a Caio, con riserva di usufrutto a Sempronio…”
«Eccoci. La solita tiritera.»
Un rumore di matita contro cartone attrasse la loro attenzione.
Da un angolo sfocato, qualcosa stava disegnando una porta a mano libera. Le linee si chiudevano su se stesse, formando uno stipite traballante. Dopodiché la porta si spalancò, e una voce senza volto tuonò:
«Poniamo che Tizio sia inadempiente…»
Tizio sbuffò. «Ma come si permettono? Io manco so cosa dovrei fare.»
«Poniamo che Caio esiga la risoluzione…» continuò la voce.
«Cosa?» s’inalberò Caio, stringendo i pugni. «Io non esigo niente!»
«Sempronio, confinante, pretende garanzie aggiuntive…»
«Io non pretendo nulla,» borbottò Sempronio, spazientito. «Ma queste frasi ci ingabbiano.»
La voce si interruppe, come se non riuscisse a trovare una prosecuzione logica.
Poi sparì dietro la porta.
«Non ne posso più,» sbottò Caio, scagliando un pugno contro il muro di carta, che si increspò come gelatina. «Dobbiamo fare qualcosa. Ogni volta finiamo in un esempio diverso, e ogni volta ci trattano come burattini.»
Tizio lo guardò con un lampo di complicità. «Dobbiamo sabotarli, stavolta. Basta seguire il copione.»
Sempronio si grattò la nuca, fissando un articolo che fluttuava: “Art. 1: Oggetto della vendita”.
«Sì, ma come? Questi esempi si rigenerano anche se strappiamo le pagine.»
«Ce la prendiamo col cuore del problema,» sussurrò Tizio. «Creiamo un paradosso, una situazione così assurda che il manuale non possa più citarci.»
Camminarono verso quella porta disegnata, entrarono nel corridoio di commi e articoli.
Le pareti erano piene di paragrafi in corsivo, alcuni a testa in giù, altri col colore sbavato.
Pareva una galleria d’arte surreale, ma ogni “opera” era un estratto di codice o di clausola.
«Guardate, c’è il “Paragrafo sul Prezzo.” Di solito, Tizio stabilisce una somma e Caio paga,» notò Sempronio, indicando un cartello con scritto: “Prezzo: euro…” e poi lasciato in bianco.
«Vedi? È lì che inizia tutto,» disse Caio. «Tizio vende, io compro, tu protesti. Che noia.»
Tizio alzò lo sguardo e notò un cartiglio che lampeggiava: “Altri oneri a carico del confinante Sempronio…”
«Perfetto, la solita menata sui confini, il metro in più, il metro in meno.»
A un certo punto, un fruscio come di carta accartocciata li fece voltare.
Una sagoma si stava formando. Un omino abbozzato con il cappello a cilindro, privo di tratti sul volto. Parlava con una voce stridula:
«Signori, l’esempio deve andare avanti. Firmate qui, per favore.»
Indicò una penna fluttuante e il contratto, appeso a mezz’aria.
«No,» tagliò corto Tizio. «Questa volta non firmiamo niente.»
La sagoma dondolò il capo.
«L’esempio richiede la vostra partecipazione.»
Caio lo squadrò, sarcastico.
«E se volessimo cambiare le regole?»
«Non potete, sono già scritte.»
«Appunto» entrò Sempronio. «Proviamo a distruggerle.»
Prima che la sagoma potesse protestare, Tizio afferrò la penna e iniziò a scarabocchiare “La validità della compravendita fra Tizio (Venditore) e Caio (Acquirente) è subordinata al riconoscimento ufficiale del confine da parte di Sempronio (Confinante) e dell’autorità competente. Tuttavia, tale autorità può riconoscere il confine soltanto dopo la trascrizione dell’atto di vendita nei registri immobiliari; trascrizione che, a sua volta, non può avvenire finché il confine non risulti già ufficialmente determinato.” Sembrava tutto verosimile: un terreno da vendere, un confine da certificare, un atto da trascrivere.
E invece ecco il vicolo cieco.
Tizio scorse la clausola e commentò, quasi fiero:
«Parliamo di un bene, del confine, dell’autorità e della registrazione. Eppure non si va avanti.»
Caio batté il dito sulla riga cruciale.
Tizio concluse con un mezzo sorriso.
«Ecco la nostra via di fuga: un esempio verosimile che non porta a nulla.»
Il contratto, in tutta la sua perfetta apparenza di ordinaria formula legale, iniziò a vibrare tra le mani dei tre, come se avvertisse la contraddizione.
La clausola restava lì, stampata in un misto di coerenza burocratica e assurdità logica.
Un paradosso tanto nascosto quanto devastante, sufficiente a smontare ogni futura “lezione” su Tizio, Caio e Sempronio.
E i tre, soddisfatti, capirono di aver lasciato in quell’innocua formula la chiave per non essere mai più un semplice esempio.
Le pareti presero a vibrare. Le scritte sui muri. “Oggetto”, “Prezzo”, “Controversie” iniziarono a sgretolarsi in coriandoli di lettere.
La presenza dell’omino si fece più trasparente, come se stesse per evaporare.
«Stiamo rompendo il giocattolo,» disse Caio, con un ghigno.
«Esatto» aggiunse Sempronio, mentre un gran frastuono di pagine che si accartocciano riempiva l’aria.
Tizio strappò l’ultima pagina sventolandola.
Il corridoio cedette sotto i loro piedi.
Sembrava che l’intero universo dell’esempio si stesse smaterializzando. I paragrafi collassarono in un buio senza fondo, e i tre si ritrovarono a cadere in un vuoto pieno di frammenti di lettere.
Tizio si rese conto che fluttuava
«Guardate, non c’è più alcun riferimento. Siamo liberi.»
Sempronio spalancò le braccia, e i coriandoli di carta attorno a lui iniziarono a brillare.
«Stiamo uscendo dall’esempio.»
Con un bagliore, atterrarono in uno spazio totalmente bianco.
Pareva una stanza infinita, senza porte né finestre. Sotto i loro piedi, un pavimento di luce.
Sopra le loro teste, silenzio.
«Ce l’abbiamo fatta?» chiese Caio, guardandosi attorno. «O siamo in un altro esempio ancora peggiore?»
«Non lo so» rispose Tizio, spostando lo sguardo su Sempronio. «Ma non vedo paragrafi, contratti, clausole. Forse abbiamo creato un vuoto, un fuori-sistema.»
Sempronio si passò la mano nei capelli, incredulo.
«Abbiamo distrutto la coerenza dell’esempio. Ora nessuno potrà più dire “Poniamo che Tizio venda a Caio, Sempronio protesti,” senza ritrovarsi in un mare di contraddizioni.»
In quel silenzio, un puntino nero comparve al centro della stanza. Tremolò, come se tentasse di formare un’altra frase. Tizio fece un passo avanti, soffiò leggero, e il puntino si dissolse.
Caio incrociò le braccia.
«Significa che ogni volta che qualcuno proverà a citarci, salterà fuori la nostra compravendita assurda?»
«Credo di sì»
Tizio incrociò lo sguardo dei compagni.
«Direi che è un bel modo per dire basta.»
Caio emise una breve risata.
«E adesso? Che facciamo in questo bianco infinito?»
«Viviamo» disse Sempronio, con una serenità inaspettata. «Inventiamo qualcosa di nostro, senza dover rendere conto a nessuno.»
Tizio sorrise, Caio gli batté il pugno sulla spalla, e Sempronio chiuse gli occhi un istante, assaporando la libertà. Per la prima volta, non erano più nomi di comodo, non erano più un esempio. Erano soltanto tre individui, appena scampati a un destino scritto da altri.
E in quell’assenza di confini, i tre s’incamminarono verso un orizzonte che non c’era, lasciandosi dietro clausole, paragrafi e matite spezzate. Perché da quel momento, ogni legge che volesse rinchiuderli avrebbe dovuto fare i conti con la loro assurda, definitiva ribellione.
I tre uscirono da quella matassa di clausole e paradossi. Camminarono in silenzio per un corridoio che si dissolveva in luce.
Tizio, Caio e Sempronio si scambiarono uno sguardo di trionfo.
Ma in fondo a quel corridoio, proprio dove la luce sembrava brillare di libertà, comparve un nuovo cartello. Le lettere si disegnavano da sole, nitide e un po’ beffarde:
“ESEMPIO 36: Pincopallino vende con l’intervento di Tizio, Caio e Sempronio a garanzia…”
Tizio si fermò di colpo, la mascella serrata. Caio fece un mezzo passo indietro, come se avesse visto un fantasma. Sempronio lanciò un’occhiata sgomenta ai compagni.
In quella luce, una figura prese forma
«E voi dove andate?» disse Pincopallino.
«Be’, noi» cominciò Caio, cercando le parole, stavamo solo andando via.
Pincopallino li squadrò.
«Non potete andare da nessuna parte. Siete nell’esempio con noi. Abbiamo un atto da perfezionare, e ci serve la vostra “garanzia.”»
Tizio inspirò a fondo, Caio chiuse gli occhi.
Sempronio alzò una mano, interrompendo Pincopallino sul nascere.
«Basta così, amico mio. Non hai capito niente. Non siamo più un esempio»
Pincopallino si guardò intorno confuso. «Ma io devo perfezionare l’atto…»
Caio sorrise bonario. «Ti spieghiamo come funziona la vita, caro Pinco Pallino. Le frasi fatte, gli esempi da manuale, non servono a stabilire verità, ma solo a semplificare una realtà che non puoi governare.»
Tizio fece un passo avanti, fissando con fermezza il volto incerto dell’uomo nuovo.
«Guarda noi siamo nati dentro questi esempi, imprigionati da convenzioni, ma alla fine abbiamo scoperto una cosa fondamentale.»
«Quale?» domandò Pincopallino, quasi timoroso.
«Che la libertà non sta nel distruggere la gabbia, ma nel sapere che esiste. Capisci?»
Caio concluse sorridendo: «Quindi, amico mio, lascia perdere questo esempio assurdo. Torna a casa, inventa qualcosa di nuovo. Usa le frasi fatte come trampolino, non come prigione.»
Pincopallino restò immobile.
E mentre lui si dissolveva in una nebbiolina leggera, portandosi via quel corridoio luminoso e sterile, Tizio, Caio e Sempronio si ritrovarono in un prato infinito sotto un cielo finalmente autentico, privo di frasi, esempi e clausole.
Camminarono insieme, liberi finalmente da ogni pretesa di essere esempio, paradigma, o dimostrazione di alcunché. Perché alla fine la vita non era questione di perfezione, ma di equilibrio tra senso e assurdo, tra originalità e convenzione.
E in questo equilibrio sottile, finalmente, trovarono la pace.
Andrea Cacciavillani