L’ultima volta che si erano parlati senza urlare era stata una domenica mattina. Lui aveva acceso una sigaretta, lei aveva chiesto di spegnerla, e lui aveva detto che era casa sua. Lei aveva lasciato perdere. Poi erano usciti e avevano camminato senza dire niente. Un silenzio buono, di quelli che non servono a niente ma stanno bene addosso, come un vecchio maglione troppo largo, morbido, che copre tutto ma non scalda davvero.
Adesso invece, lei lanciava le cose. Non piatti, perché quelli erano suoi e i bicchieri pure.
Lanciava calzini, una vecchia t-shirt, un libro che lui non aveva mai letto.
«Non so nemmeno perché l’hai comprato.»
«Era in saldo.»
«Interessante. Un libro che non leggerai mai ma che almeno è costato poco.»
Lui rimase sulla sedia, la sigaretta tra le dita. Non la guardava.
Lei invece lo guardava come si guarda un cane che ha rovesciato l’immondizia.
«Non hai niente da dire?»
«Mi sembra che tu stia già dicendo tutto.»
Lei ridacchiò senza ridere davvero.
«Certo. Perché se non urlo non mi ascolti.»
Lui si grattò la guancia.
«Non è vero.»
«Ah no?»
«No.»
Lei prese un altro libro dallo scaffale, lo sfogliò senza leggerlo.
Era un vecchio romanzo consumato, il titolo ormai sbiadito.
Forse parlava di fughe o di ritorni ma lei non lo aprì abbastanza a lungo per scoprirlo.
Lui sperò che non lo lanciasse. Ricordava una frase che diceva qualcosa sui venti freddi e sullo stare in piedi anche quando hai il ginocchio sbucciato.
«Ti sei stancata di me.»
Lei sbuffò.
«Non si tratta di questo.»
«E di cosa, allora?»
Lei si mise a sedere sul letto, le braccia incrociate.
«Di tutto.»
«Tutto cosa?»
Lei strinse gli occhi.
«Sei noioso.»
Lui annuì.
«Anche tu.»
Lei sorrise per un attimo. Poi si ricompose.
«Non è una gara.»
Un mezzo dei vigili del fuoco passò fuori dalla finestra, con le sirene che ululavano come un avvertimento, come se il loro rapporto fosse un’auto in bilico su un precipizio, con il motore ancora acceso e nessuno al volante.
Lei la seguì con lo sguardo.
Poi si sdraiò sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.
Lui si alzò, gettò la sigaretta nel lavandino e aprì l’acqua.
Si avvicinò al letto, si sedette vicino a lei.
«Dobbiamo proprio litigare?»
Lei sospirò.
«Non lo so.»
Restarono così, senza dire niente. Il silenzio questa volta pesava nell’aria, denso come fumo stagnante.
Lei tamburellava le dita sul lenzuolo, lui si passava la lingua sulle labbra secche.
Nessuno parlava, ma ogni gesto era un grido trattenuto. Stava lì come un cane bagnato, tremante, senza nessuno che lo facesse entrare.
Lui si sdraiò accanto a lei, ma non la toccò.
«Se vuoi andare, vai.»
Lei scosse la testa.
«Se me lo dici tu, non vale.»
«Allora rimani.»
«E poi?»
«E poi vediamo.»
Lei si girò su un fianco. Lo guardò per un momento.
«Sei un disastro.»
Lui sorrise.
«Lo so.»
Lei gli posò una mano sul petto.
«Se lo sai, perché non cambi?»
«E tu perché non te ne vai?»
Lei chiuse gli occhi. Lui rimase a guardarla.
Forse era già un’altra domenica mattina.
Andrea Cacciavillani