Clara si girò nel letto, il sole ormai alto che trapelava dalle tapparelle mezze rotte le colpiva il viso come una sveglia senza pietà. Sbatté le palpebre, cercando di ignorare il caldo accumulato sul materasso che sembrava aver assorbito la sua stanchezza notturna. Tentò di allungare un braccio verso il comodino in cerca del bicchiere d’acqua ma era vuoto da giorni, fedele testimone del suo immobilismo.
La città fuori sembrava già al culmine delle sue attività ma Clara poteva giurare che, in qualche modo, si trattasse di una finzione. Come un film girato in loop, la stessa scena di vita frenetica ripetuta ogni giorno, identica. Tornò a fissare il soffitto, un mosaico di crepe e qualche piccola ragnatela che le ricordava il caos dei suoi pensieri. Aveva promesso a se stessa di cambiare, ma quel lunedì non sembrava per nulla diverso dagli altri: un’altra pagina bianca che non aveva il coraggio di scrivere.
“Devi alzarti prima o poi,” disse una voce dal corridoio. Era Leo, il coinquilino che non pagava l’affitto in tempo ma che sapeva sempre quando infilzarti con una frase al momento giusto.
“Ho tempo,” rispose Clara, senza distogliere lo sguardo dalle crepe sul soffitto. Una, in particolare, sembrava una freccia.
Indicava un punto a caso ma con l’aria di sapere esattamente dove andare.
Leo entrò nella stanza senza bussare.
Aveva addosso una maglietta con la scritta “Il tempo non esiste”. Sembrava convinto.
“Ho trovato una lista di cose da fare nella spazzatura. Era tua?”
Clara sollevò la testa.
“Forse. O forse è di qualcun altro che sta cercando di risolvere i miei problemi.”
“Beh, chiunque sia, è un disastro. Qui dice: ‘Imparare a suonare il pianoforte.’ Hai un pianoforte?”
“No.”
“Perfetto. Poi c’è ‘Scrivere un libro.’ Hai un computer e delle idee?”
“No.”
Clara si alzò finalmente dal letto con la grazia di un gatto che si ricorda solo a metà come usare le zampe.
I capelli scuri le ricadevano scomposti sulle spalle, incorniciando un viso che continuava a essere bello in un modo quasi irritante. Cercò tra i vestiti sparsi una maglia che non sembrasse uscita da una guerra civile ma i suoi standard erano ormai più bassi del suo umore.
“Stai cercando qualcosa di vintage o stai sperimentando il post-apocalittico?” domandò Leo, appoggiandosi al telaio della porta con un sorriso divertito. Indossava un paio di pantaloni impeccabili e una camicia stirata che sembravano gridare al mondo che essere gay non significava solo avere buon gusto ma anche sapere come farlo pesare.
“Sto cercando di essere me stessa, grazie” rispose Clara, senza alzare lo sguardo, il sarcasmo che fluiva naturale come l’aria. “E comunque, a te che importa? Non stavi per uscire a conquistare il mondo con il tuo fascino e la tua ironia da brunch?”
Leo ridacchiò. “Ti sei guardata di recente? Sei bellissima e lo sai ma sembri una che ha litigato con la vita e ha perso. Se non mi preoccupassi, non sarei io.”
Clara si fermò, fissandolo con un misto di affetto e esasperazione.
“Per tua informazione, ho deciso di abbracciare la mia decadenza. È terapeutico.”
“Ah, certo, perché decadere è sempre un piano vincente” ribatté Leo, incrociando le braccia. “E ti offre anche l’opportunità di competere con le crepe sul soffitto. Avete già stabilito chi è messo peggio?”
Clara scoppiò a ridere, alzando finalmente lo sguardo verso di lui. “Leo, sei insopportabile.”
“Lo so” rispose lui, facendo un cenno con la testa verso il corridoio. “Ora vestiti, altrimenti farai scappare anche il barista sotto casa.”
Leo sorrise, buttandosi su una sedia come se fosse un trono. “Senti, io non sono uno psicologo, ma direi che il tuo piano ha bisogno di un piano.”
“Non ho bisogno di piani” disse Clara, indossando infine una maglia sgualcita. “Ho bisogno di fortuna. E di un caffè.”
“La fortuna è per i pigri.”
“Sei un coinquilino inutile,” disse Clara, ma senza rabbia. Era un’accusa di routine, un insulto affettuoso che si scambiavano come fosse una stretta di mano.
Fuori, il mondo era già immerso nel trambusto del primo pomeriggio. Le biciclette scivolavano sui marciapiedi, alcune con cestini stracolmi di pane fresco, i motorini ruggivano ai semafori come se avessero fretta di arrivare ovunque tranne che a casa, e una donna con un passeggino litigava con l’ombra di un cartello pubblicitario. Clara scese le scale lentamente, con Leo alle calcagna, il rumore dei suoi passi più rapido, come se fosse già un passo avanti nei suoi pensieri. Non avevano una meta precisa, ma sembrava non importare, come se ogni direzione fosse una scusa sufficiente per riempire le ore.
“Cosa pensi di fare oggi?” chiese Leo, rompendo il silenzio mentre camminavano lungo il viale alberato.
“Pensavo di iniziare con un fallimento modesto. Magari non trovare lavoro. O litigare con un estraneo al supermercato.”
“Ambiziosa,” rispose Leo. “Io pensavo di comprare delle uova. Poi magari dipingerle di rosa e usarle come decorazioni per un party che non darò mai. È nel mio stile, no?”
Arrivarono al parco, un’oasi di verde dove il caos del mondo sembrava allontanarsi solo per un attimo. Le panchine arrugginite raccontavano storie di anni trascorsi sotto il sole e la pioggia, e i bambini urlanti si rincorrevano tra le statue dimenticate, che osservavano immobili con sguardi vuoti. Clara si lasciò cadere su una panchina, accavallando le gambe con un gesto pigro ma elegante. Il lago artificiale davanti a lei rifletteva il cielo con un’aria indifferente, come se fosse abituato a non essere notato. L’acqua era immobile, troppo perfetta per essere vera, come una promessa mai mantenuta.
“Ecco cosa dovremmo fare,” disse Leo, rompendo l’incantesimo. “Dovremmo costruire una barca.”
“Una barca?”
“Sì. Una barca vera. Ci mettiamo sopra, remiamo lontano e vediamo dove ci porta.”
Clara rise, una risata breve, quasi un riflesso. “E come la costruiamo?”
Leo si alzò, con l’entusiasmo di chi non ha nulla da perdere.
“Il mondo è pieno di legno. E di chiodi. Dobbiamo solo metterli insieme nel modo giusto.”
“Sei un genio incompreso,” disse Clara, con un sorriso appena accennato. “Ma lo sai che le barche non si costruiscono con i sogni, vero?”
Leo fece un gesto teatrale, indicando il cielo. “I sogni sono la colla che tiene insieme il legno, cara. Senza sogni, galleggeresti? Io non credo.”
“Galleggerei benissimo. È la mia specialità: sopravvivere con il minimo indispensabile,” ribatté Clara, accavallando le gambe. “E poi, tu hai mai preso un martello in mano? Ho come il sospetto che tu consideri il bricolage una forma di tortura medievale.”
Leo rise, alzando le mani in segno di resa.
“Hai ragione, il bricolage non è la mia passione. Ma se pensi che non possa convincere qualcun altro a farlo per noi, allora non mi conosci affatto.”
“Ah, certo, la tua arte suprema: il delegare con stile,” rispose Clara, fingendo di applaudire. “Sai, forse è per questo che non mi sento mai del tutto persa quando sei in giro. Il tuo ottimismo è contagioso. Fastidioso, ma contagioso.”
Leo si sedette accanto a lei, il sorriso ora più calmo. “E tu sei quella che mi tiene con i piedi per terra. Letteralmente. Altrimenti, a quest’ora sarei già alla deriva, magari su una zattera di idee assurde.”
“Beh, qualcuno deve pur farlo,” disse Clara, il sarcasmo che si stemperava in un tono quasi dolce. “Ora, fammi indovinare: il prossimo passo è convincermi che questa barca ci cambierà la vita?”
“Non la barca, Clara,” rispose Leo, fissando il lago immobile. “Ma quello che ci spingerà a fare.”
Passarono ore a fantasticare su dove li avrebbe portati quella barca immaginaria. In alto mare? In un altro continente? O forse solo al centro del lago, dove avrebbero potuto galleggiare e ridere di tutto ciò che avevano lasciato a riva.
Quando il sole cominciò a calare, Clara si alzò, scrollandosi via l’erba dai jeans. “Sai una cosa? Forse non è una cattiva idea.”
Leo sorrise.
“Quale parte?”
“Tutte.”
E con questo, ripresero a camminare, lasciandosi il parco alle spalle. Clara lanciò un’occhiata al cielo, che cominciava a tingersi di arancio, e sospirò. “Sai, forse la tua barca immaginaria ha più senso di tante altre cose che vedo ogni giorno.”
Leo rise, le mani in tasca. “Se riesco a darti un briciolo di speranza con un pezzo di legno e qualche chiodo che non esistono, allora sono più bravo di quanto pensassi.”
“Non illuderti troppo. La tua capacità di vedere l’arcobaleno in mezzo a un temporale è una cosa che mi manda ai pazzi,” ribatté lei con un sorriso ironico. “Ma forse è proprio questo il tuo superpotere: far sembrare che tutto sia a portata di mano, anche quando non lo è.”
Leo rallentò, girandosi verso di lei. “E tu hai il tuo: trasformi il mio ottimismo in qualcosa di meno patetico. Una specie di filtro realistico, ma con stile.”
Clara scoppiò a ridere. “Oh, guarda un po’, mi stai chiamando la tua personal trainer emozionale?”
“No, è più una partnership,” rispose lui con finta serietà. “Io sogno, tu mi tieni ancorato alla realtà. Senza di te, finirei per costruire castelli di sabbia in cima alle montagne.”
“O affondare nel lago con una barca immaginaria,” aggiunse Clara, dandogli una leggera gomitata.
Continuarono a camminare, le luci della città che si accendevano gradualmente, dipingendo le strade di un bagliore caldo. Dopo un momento di silenzio, Clara parlò di nuovo, ma questa volta con una nota più seria. “Sai, magari la barca non arriverà da nessuna parte. Forse non costruiremo mai niente di concreto. Ma… la parte che conta è che ci abbiamo provato.”
Leo sorrise, guardando davanti a sé.
“E sai qual è la cosa divertente? Anche il provare può essere un traguardo. Non tutti i sogni sono fatti per essere realizzati. Alcuni esistono solo per ricordarci che possiamo sognare.”
Clara lo osservò di lato, il volto rilassato in un sorriso.
“E in quel caso, non c’è nessuno con cui preferirei sognare.”
“Lo stesso vale per me,” rispose lui, senza sarcasmo, per una volta. “E se affondiamo, almeno lo faremo ridendo.”
Si scambiarono un’occhiata che solo due complici nella follia possono avere.
La città li accolse di nuovo, ma questa volta sembrava meno un labirinto e più una tela da riempire.
Forse non era solo l’idea della barca, ma la convinzione che non serva arrivare lontano per sentirsi vivi: basta sapere di avere accanto qualcuno disposto a remare con te, anche controcorrente.
I sogni non sono fatti per essere raggiunti, pensò Clara, ma per ricordarci che la vita è molto più di quello che vediamo.
E in quel momento, persi nel crepuscolo cittadino, il mondo sembrava pieno di legno, chiodi e mille modi per costruire qualcosa di meravigliosamente imperfetto.
Andrea Cacciavillani
Foto di hissetmehurriyeti : https://www.pexels.com/it-it/foto/spiaggia-barca-carta-tiro-verticale-8519581/