
IDROFILIA
L’acqua lo colpì come un’esplosione che gli bruciava la pelle di freddo. Lui serrò gli occhi ma non poteva cancellare quella presenza, quel profilo ipnotico che lo assediava dall’ombra. Lei era lì, statua in movimento, carne e notte fusi in un unico disegno. I suoi piedi nudi scrivevano parabole sul pavimento umido e c’era qualcosa di sacrilego in quel silenzio, qualcosa che sapeva di altare e sacrificio.
Lui sentiva il respiro accorciarsi ma non osava lasciarlo uscire. Era intrappolato nel ritmo morbido di lei, nel modo in cui le gocce abbandonavano la sua pelle con lentezza crudele. Ogni goccia sembrava dire: guarda, ascolta, aspetta. Ma aspettare cosa? Lei si avvicinava come una marea inevitabile e lui era un relitto che non sapeva galleggiare né affondare.
«Non respirare,» disse lei. Non era una richiesta. Non era neppure un ordine. Era un suggello. La sua voce si insinuò nella carne come un veleno sottile, ogni parola un graffio. E lui smise di respirare, come se quel gesto fosse la chiave per aprire un’altra stanza, per trovare qualcosa oltre la porta chiusa di lei.
L’acqua sembrava moltiplicarsi. Una battaglia di spruzzi, inizialmente ridicola, infantile, si era trasformata in un rituale misterioso. Le sue mani schizzavano come una cascata che si ribella alla gravità, mentre lei lo scrutava, occhi neri, due voragini di liquido che lo attiravano verso il bordo. C’era un ritmo nei suoi movimenti, un’armonia inquietante, come una danza costruita per sfidare ogni legge naturale.
Poi fu vicina. Troppo vicina. E la tensione era densa, un fluido invisibile che gli si aggrappava alla gola. Le mani di lei, sottili, forti, si posarono sul suo petto. Non premevano. Attendevano. C’era qualcosa di spaventoso in quel tocco: il controllo assoluto di chi sa di poter ribaltare il mondo senza mai sollevare un dito.
«Hai mai sentito l’acqua scorrere dentro?» sussurrò, il fiato che gli lambiva la pelle come un alito di mare. Non aspettava risposta. Le sue dita scivolarono verso il collo di lui, tracciando una strada segreta fatta di gelo e fuoco. E lui capì: lei non parlava dell’acqua che tocca. Parlava dell’acqua che possiede.
Un improvviso schiaffo d’acqua lo travolse. Non si aspettava la violenza. Gli occhi si chiusero per difendersi, ma tutto il resto era aperto, vulnerabile. Quando riaprì le palpebre, lei era lì, a pochi millimetri. I loro respiri si intrecciavano senza mai toccarsi. Lui voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma le parole si spezzavano prima di arrivare alla bocca. Erano inutili, inadatte a quella corrente.
Le sue mani trovarono il collo di lei. Lei guidò le sue dita, le piegò, le plasmò come argilla. «Stringi,» disse, e la parola cadde nel vuoto come una pietra in un pozzo. «Ma non troppo. Voglio sapere che ci sei, ma anche che puoi perdermi.»
Era un ossimoro vivente, lei. E lui lo sapeva. Sapeva che tutto quello che era reale in quel momento poteva sgretolarsi in un attimo. Ma obbedì. Le sue mani tremavano per paura di ferire. Eppure, nello stringere, sentì un potere che non gli apparteneva, che lei gli aveva concesso per il puro piacere di sottrarglielo.
Il tempo si spezzò. La stanza sembrava dissolversi in una nebbia salata, e lei vibrava sotto le sue dita come una nota suonata nel modo sbagliato.
Il climax arrivò senza preavviso. Lei gridò ma non uscì alcun suono. La sua bocca si aprì, un pesce fuori dall’acqua, e lui sentì quel vuoto, quel buco nero di desiderio che li stava inghiottendo entrambi.
Cadde. Non sapeva nemmeno quando. Il pavimento era freddo e l’acqua che li circondava sembrava crescere, come un torrente che non trovava argini. Lei lo guardava ora dall’alto, una dea di sale e ombra. Il suo sorriso era quello di chi aveva vinto ma senza trionfo. Qualcosa di più antico, di più crudele.
«Non sei pronto,» disse, le parole che scivolavano via come un’eco.
Lui si sforzò di parlare, ma il corpo non rispondeva. Era un naufrago a pochi centimetri dalla riva, incapace di aggrapparsi a nulla. «Pronto per cosa?» riuscì a balbettare.
Ma la domanda era un riflesso, non una richiesta reale.
Lei si inginocchiò, lo baciò sulla fronte. Le sue labbra erano gelide, dure come vetro bagnato. «Per annegare davvero.»
E poi il pavimento si aprì sotto di lui. Un’oscurità d’acqua lo avvolse, e in quell’attimo capì: non stava affondando. Era l’acqua stessa a entrare in lui.
Andrea Cacciavillani
Foto di ulrich Keutchatang : https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-creativo-acqua-movimento-17686836/