
LA SPIRALE DELLA MEDIOCRITA’
Il vento mi pizzicava il viso mentre guardavo il vuoto che si avvolgeva su sé stesso, un’infinita scala che divorava il proprio centro. Mi sembrava di osservare l’intestino di una città che non dorme mai, come una creatura insaziabile che digerisce sogni, fallimenti e speranze nella stessa bocca. Sopra e sotto non avevano senso, ogni giro era un’illusione di direzione.
La vernice scrostata delle ringhiere raccontava storie di mani sudate, di ansie trattenute, di vite trascinate su e giù. Un graffito inciso sul metallo diceva “Loop”. E aveva ragione. La vita non è altro che un loop, un ridicolo cerchio dove inciampiamo sempre nello stesso gradino, credendo ogni volta che sia diverso.
C’era una donna, una volta, che mi aveva detto che la felicità era una spirale: ti avvicini sempre di più, ma non la raggiungi mai. “E che cazzo serve allora?”, le avevo chiesto, ma lei si era limitata a sorridere, quel sorriso di chi sa qualcosa che tu non saprai mai. Ho smesso di cercarla da tempo, eppure ogni tanto mi sembra di vederla negli occhi delle persone che scendono scale come questa. Una fissazione? Forse. Una dannata ossessione? Sicuramente.
Un rumore lontano risaliva la spirale, passi che suonavano come un tamburo sordo. Uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, un metronomo umano. Mi voltai verso l’alto, cercando il proprietario di quella marcia, ma non c’era niente. Solo luce e ombra, un gioco crudele di spazi e assenze. Eppure, i passi continuavano.
Infilai una sigaretta tra le labbra, accendendola mentre l’eco dei miei polmoni si mescolava con il fumo. Era ridicolo. Noi tutti, un mucchio di formiche intrappolate in una spirale infinita. Salire per scendere, scendere per salire. Un gioco senza premio, una trappola che ci costruiamo da soli.
Poi notai qualcosa. Qualcosa che non avevo mai visto prima. Al centro del vuoto, dove tutto sembrava convergere, c’era una piccola porta. Una porta che non avrebbe potuto essere lì. Ma era lì. Minuscola, quasi invisibile, come un errore di progettazione. Mi avvicinai, scavalcando la ringhiera e rischiando di precipitare.
Quando aprii la porta, la prima cosa che vidi fu me stesso, seduto a un tavolo. Ero io, ma non ero io. Una versione migliore. Più giovane. Più sereno. Stavo scrivendo qualcosa, immerso in un quaderno con le pagine già piene. Mi guardai, e quello che vidi mi fece male. Era tutto quello che avrei potuto essere se solo avessi avuto il coraggio di scegliere qualcosa di diverso.
Chiusi la porta prima di potermi pentire. Tornai indietro, sulla scala, fissando il vuoto. La spirale ora sembrava diversa. Più crudele, forse, o semplicemente più vera. La sigaretta era finita, e con lei il mio momento di lucidità. Buttai il mozzicone oltre la ringhiera, sperando di non sentirlo mai più atterrare. E ripresi a salire.
Perché alla fine, il loop non si spezza mai. Ma almeno puoi imparare a ballarci dentro.
Andrea Cacciavillani